Il Governo di Singapore, nel tentativo di arginare il problema dell’inquinamento, sempre più delicato in quelle zone del globo, ha preso una decisione che RIVELA LA SUA VOLONTÀ DI MUOVERSI VERSO UN FUTURO DI ENERGIA PULITA, nonostante sia uno dei più grandi centri di commercio del petrolio in Asia.
È stata decisa l’introduzione di una CARBON TAX, PARTENDO DAL 2019, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra. Si tratta di una TASSA DA APPLICARE SULLE RISORSE ENERGETICHE CHE EMETTONO BIOSSIDO DI CARBONIO NELL’ATMOSFERA E VARIERÀ DAI 10 AI 20 DOLLARI A TONNELLATA DI CO2 (da 6,6 a 13,3 euro).
Si ipotizza che, con la sua introduzione, si realizzerà un aumento del costo dell’energia dal 2 al 4% ed un rincaro nel costo della raffinazione di un barile di petrolio da 2,3 a 4,6 euro.
LA CARBON TAX AVRÀ UN EFFETTO DESTABILIZZANTE SULLE TRE PRINCIPALI RAFFINERIE DEL PAESE, ExxonMobil, Shell e Singapore Refinign Company, le quali devono già fronteggiare la spietata concorrenza della Cina, dell’India e del Medio Oriente; ma non solo. Gli EFFETTI saranno DURISSIMI SU TUTTI I PRINCIPALI PRODUTTORI DI GAS SERRA come le centrali elettriche, gli impianti petrolchimici e le aziende produttrici di semiconduttori.
La decisione presa dal Governo è stata così motivata dal Ministro delle Finanze:
“THE MOST ECONOMICALLY EFFICIENT AND FAIR WAY TO REDUCE GREENHOUSE GAS EMISSIONS IS TO SET A CARBON TAX (…) Singapore is vulnerable to rises in sea level due to climate change. Together with the international community, we have to play our part to protect our living environment.”